REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 2396 del 2020, proposto da
Asmel – Associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli enti locali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dagli avvocati Gi. Be. e Ma. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Be. in
Roma, via (…);
contro
ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale
dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Asmel Consortile soc. cons. a r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 240, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2020 il Cons. Giorgio Manca e data la presenza, ai sensi all’art. 4, comma 1, ultimo periodo, del
decreto-legge n. 28 del 2020, dell’avvocato Berruti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – L’Autorità Nazionale Anticorruzione (in prosieguo: Anac o Autorità ), nell’esercizio della legittimazione ad agire riconosciuta dall’art. 211,
commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. n. 50 del 2016), con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per
la Lombardia impugnava gli atti della procedura di gara indetta da ASMEL Consortile s.c.a.r.l., quale centrale di committenza delegata da diversi
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enti locali, relativa alla procedura aperta per l’affidamento di una o più convenzioni quadro “per la fornitura di apparecchi per illuminazione
pubblica equipaggiati con sorgente a led, sistemi di sostegno degli apparecchi a led, dispositivi per il telecontrollo/telegestione e accessori smart
city per gli Enti associati ASMEL”, di cui al bando di gara pubblicato il 7 agosto 2019.
2. – Il ricorso si incentrava essenzialmente sull’illegittimità degli atti delle procedura di gara per il difetto della qualifica di centrale di committenza
attribuibile alla ASMEL Consortile s.c.a.r.l., che non poteva essere considerata come amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei
requisiti per bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. i) [che contiene la definizione di “centrale di committenza”] e lett. m) [definizione di “attività di committenza ausiliarie”] e
dell’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.
L’Anac, inoltre, rilevava l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla procedura, il
pagamento del costo del servizio svolto da ASMEL Consortile quale centrale di committenza per conto degli enti locali, in violazione dell’art. 41,
comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici.
Infine, con il terzo motivo deduceva la violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici (per aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti
economico-finanziari e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto del contratto); con il quarto motivo lamentava
l’illegittimità del bando di gara per aver fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello minimo stabilito dall’art. 60, comma 1,
del Codice dei contratti pubblici.
3. – Con la sentenza qui appellata, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha accolto i primi due motivi del ricorso.
4. – La sentenza è impugnata dall’associazione ASMEL (Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, in prosieguo
“Asmel Associazione”), la quale detiene il 25% delle quote sociali della Asmel Consortile s.c.a.r.l.
5. – Si è costituita in giudizio l’Anac, preliminarmente eccependo l’inammissibilità dell’appello per violazione del principio di integrità del
contraddittorio, per l’omessa notificazione al Comune di Olgiate Olona, parte del giudizio di primo grado rimasta contumace.
Nel merito, chiede che l’appello sia respinto, riproponendo, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del processo amministrativo, i motivi
assorbiti in prime cure.
6. – All’udienza pubblica del 9 luglio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. – Si può prescindere dall’esame della questione di inammissibilità dell’appello, sollevata dall’appellata Anac, posto che il gravame è infondato
nel merito.
8. – Con il primo motivo, l’appellante assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso
introduttivo dell’Anac. Con l’eccezione, Asmel lamentava non solo il mancato tempestivo deposito in giudizio della deliberazione del Consiglio
dell’Autorità con la quale l’Anac aveva deciso di esercitare il potere di ricorso ai sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti
pubblici, ma anche l’inadeguata motivazione circa le ragioni che hanno giustificato l’esercizio della legittimazione ex lege all’impugnazione degli
atti di gara. L’Anac, infatti, ad avviso dell’appellante, che richiama sul punto anche il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n.
1119 del 26 aprile 2018, avrebbe dovuto fornire una motivazione specifica e adeguata con riferimento ai presupposti normativi delineati dall’art.
211, come previsto anche dal regolamento approvato dall’Autorità sull’esercizio di detti poteri.
Tra i presupposti normativi di cui ANAC avrebbe dovuto dar conto, l’appellante include anche la dimostrazione della sussistenza degli elementi
tipici dell’autotutela amministrativa di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990. Oltre alle eventuali illegittimità degli atti di gara,
occorrerebbe valutare anche la sussistenza dell’interesse pubblico concreto e attuale. Secondo l’appellante, nel caso di specie le delibere dell’ANAC
sarebbero prive di una motivazione in tal senso.
8.1. – L’eccezione va respinta.
8.2. – Sulla base delle norme richiamate, di rango legislativo, la legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo è attribuita all’Anac secondo
due modalità distinte: la prima è quella del citato art. 211, comma 1-bis, il quale prevede il potere dell’Autorità di “agire in giudizio per
l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione
appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”; la seconda presuppone
l’emissione di un parere motivato da parte dell’Anac, la quale indica alla stazione appaltante le “gravi violazioni”, ovvero i vizi di legittimità che
inficiano i provvedimenti presi in considerazione dall’Autorità, invitando la medesima stazione appaltante a conformarsi; solo “se la stazione
appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, [questa] può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al
giudice amministrativo” (art. 211, comma 1-ter, cit.).
8.3. – Il regolamento dell’Anac, approvato con deliberazione del 13 giugno 2018, specifica le fattispecie legittimanti la prima tipologia di ricorso,
delineando le diverse ipotesi di “contratti a rilevante impatto” (art. 3 del regolamento) e le categorie di atti impugnabili (art. 4); e, con riferimento
alla seconda tipologia, definisce l’ambito delle “gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici” (art. 5).
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8.4. – In entrambe le ipotesi, la motivazione della decisione dell’Autorità di agire in giudizio deve rendere conto della sussistenza dei presupposti
ricavabili dall’art. 211 del Codice dei contratti pubblici e, nei termini in cui siano conformi, dalle disposizioni regolamentari citate, dalle quali,
peraltro, non si evincono ulteriori elementi cui sia condizionato l’esercizio del potere di azione attribuito all’Anac. In particolare, la norma primaria
non subordina il potere di agire dell’Anac a ulteriori valutazioni (i cui esiti dovrebbero riflettersi nella motivazione) che investano le ragioni di
interesse pubblico, specifico e concreto, all’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato ad immagine di quanto previsto per
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
8.5. – La conclusione è evidente per l’ipotesi di ricorso diretto nei confronti degli atti di gara relativi a contratti di rilevante impatto, in cui
l’interesse a ricorrere dell’Autorità sorge in coincidenza con il rilievo delle violazioni delle norme in materia di contratti pubblici (fermi restando gli
altri presupposti relativi alla rilevanza del contratto e alle tipologie di atti impugnabili); ma ciò vale anche per il caso del ricorso preceduto da
parere rimasto senza seguito da parte della stazione appaltante. Parere che non è riconducibile all’ambito degli strumenti di autotutela, posto che
non ha natura vincolante per l’amministrazione destinataria e nemmeno crea un obbligo di agire in autotutela e in conformità al suo contenuto
(come, invece, prevedeva l’art. 211, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, per la “raccomandazione vincolante” dell’Anac, al cui mancato
adeguamento seguiva l’applicazione di una sanzione pecuniaria: disposizione abrogata dall’art. 123, comma 1, lett. b), del d.lgs. 19 aprile 2017, n.
56).
Non si può assumere, quindi, che quel parere costituisca l’atto di avvio di un procedimento di riesame in autotutela da parte della stazione
appaltante, con le conseguenze che – quanto a disciplina della fattispecie e, in specie, necessaria valutazione degli interessi coinvolti –
deriverebbero da tale premessa (si osservi che il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 1119 del 26 aprile 2018, reso sullo
schema di regolamento per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 211 cit., qualifica il parere di cui al comma 1-ter come atto “privo di natura
provvedimentale, trattandosi di un atto di sollecitazione all’eventuale autonomo esercizio del potere di autotutela da parte della stazione
appaltante […]”: punto III.3.2.)
8.6. – La legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno
riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio (si possono richiamare l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 per l’AGCM; e, più
recentemente, l’art. 36, comma 2, lett. m) e n), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per l’Autorità di
regolazione dei trasporti; per altre ipotesi si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., n. 4 del 2018, al punto 19.3.4.) non può essere qualificata nemmeno
come legittimazione straordinaria o eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad
agire o a ricorrere, ossia il collegamento dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità ) di un interesse tutelato
dall’ordinamento sul piano sostanziale. Collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni
pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore [concorrenza per il mercato],
ma sono più in generale orientati – per scelta legislativa e configurazione generale di questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni – a
prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici (tanto che la norma primaria dice solo che la ragione dell’azione sta nella violazione de “le
norme in materia di contratti pubblici”), anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle
procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso
all’aggiudicazione, sicché esso – soprattutto nella fase della indizione della gara – non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac, come
sopra ricordato: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018 cit., al punto 19.3.5.).
L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi
e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti
segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che – pur qualificando il potere di
agire ex art. 211 cit. come un caso di “legittimazione processuale straordinaria” – precisa che “la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016[non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse […] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali
disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di
agire in giudizio nell’interesse della legge”).
Pertanto, anche sotto questo profilo non si giustifica la necessità di una particolare motivazione della decisione di agire in giudizio da parte
dell’Anac.
8.7. – Applicando alla fattispecie queste conclusioni, va rilevato che le deliberazioni depositate in giudizio illustrano in maniera adeguata ed
esaustiva le ragioni che hanno portato l’Autorità alla proposizione del ricorso impugnare gli atti della procedura di gara indetta da Asmel
Consortile, con riguardo ai presupposti legittimanti cristallizzati nell’art. 211 cit. e nel regolamento del 13 giugno 2018. Il che si evince dall’esame
sia della delibera del 4 settembre 2019 (doc. 24 del fascicolo di primo grado, deposito Anac del 22.10.2019), con cui il Consiglio dell’Autorità ha
fatto proprio il parere indirizzato ad Asmel (contenente i vizi di legittimità contestati) e, constatato l’inadempimento della stazione appaltante, ha
determinato di procedere all’impugnazione ai sensi dell’art. 211, comma 1-ter, del bando della procedura aperta indetta da Asmel Consortile,
facendo altresì proprie le considerazioni delle relazioni dell’Ufficio vigilanza collaborativa; sia della delibera del 18 settembre 2019 (doc. 25 del
fascicolo di primo grado, deposito Anac del 22 ottobre 2019) con cui il Consiglio, “in ragione del valore del contratto”, ha ritenuto sussistere i
presupposti per l’impugnazione anche ai sensi del dell’art. 211, comma 1-bis, più volte citato.
8.8. – In conclusione, l’eccezione di rito dedotta con il primo motivo d’appello va integralmente respinta.
9. – Con il secondo motivo, l’appello critica la sentenza per aver affermato che Asmel non ha i requisiti per esplicare il ruolo di stazione appaltante
e di centrale di committenza, non essendo un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici.
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9.1. – Sotto un primo profilo, riprendendo in parte i rilievi basati sull’insussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione ai sensi
dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, l’appello sottolinea che la sentenza avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il
motivo, in quanto il potere di azione conferito all’Anac consentirebbe di impugnare atti specifici emanati da una qualunque stazione appaltante,
ma non potrebbe “contestare in giudizio la qualificazione della stessa a indire una procedura ad evidenza pubblica, come è avvenuto nel caso di
specie, altrimenti vi sarebbe un difetto di legittimazione processuale dell’ANAC, che non può censurare atti che non promanino da stazioni
appaltanti” (p. 12 dell’appello).
9.2. – Inoltre, posto che Asmel Associazione è iscritta all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti istituita presso l’Anac (condizione sufficiente, ad
avviso dell’appellante, per legittimarla ad operare come centrale di committenza), se l’Autorità avesse voluto contestare tale qualifica, avrebbe
dovuto avviare un apposito procedimento di ritiro in autotutela della predetta iscrizione, ma non servirsi della peculiare legittimazione attiva
attribuita dall’art. 211 per ottenere il medesimo risultato.
10. – Le questioni sono manifestamente infondate, ove si tenga conto (con riferimento alla prima) che, come si è già veduto, il potere di azione in
giustizia attribuito all’Anac è per prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e
degli altri atti generali, in relazione a “gravi violazioni” del Codice dei contratti pubblici, per cui sarebbe irragionevole un’interpretazione limitante
tale potere dell’Anac proprio quando il vizio di legittimità investa lo stesso presupposto legittimante l’indizione della gara; quanto al secondo
rilievo, l’Anac non ha contestato l’iscrizione di Asmel all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (come si vedrà meglio nell’esame degli ulteriori
profili del secondo motivo d’appello), per cui non era necessario avviare un procedimento in autotutela.
11. – Proseguendo nell’esposizione del secondo motivo d’appello, l’appello sottolinea come la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel,
e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati, derivi dall’essere un’associazione tra
amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1,
lett. a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce “amministrazioni aggiudicatrici”, le “amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali;
gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti
soggetti”).
La Asmel Associazione, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, avrebbe tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico, per
cui, anche sotto questo profilo, dovrebbe essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice. Diversamente da quanto affermato dalla
sentenza, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico in capo ad Asmel Associazione non comporta il conferimento di funzioni
pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel, ma è lo strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della
centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor dimensione.
12. – In via subordinata, l’appellante impugna il capo della sentenza che ha implicitamente riconosciuto la giurisdizione amministrativa, posto che,
una volta escluso che Asmel Associazione potesse essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice, il Tribunale amministrativo avrebbe
dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, essendo dirimente, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del
Codice del processo amministrativo, la qualificazione soggettiva di “amministrazione aggiudicatrice” per ritenere la giurisdizione esclusiva sulle
controversie relative a procedure di affidamento di contratti pubblici.
13. – Le censure così sintetizzate sono infondate.
13.1. – In punto di fatto, occorre precisare che la procedura di gara per cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella asserita
qualità di centrale di committenza.
13.2. – Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, “se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia”, come nel
caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a
soggetti aggregatori qualificati.
13.3. – Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il
soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP
e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui “E’ istituito,
presso l’Autorità, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l’elenco dei soggetti aggregatori”).
L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che
intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole
regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per “stipulare, per gli ambiti territoriali di
competenza, le convenzioni di cui all’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 […]” (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.);
vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e
impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.
13.4. – Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9
del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art.
9 istituisce l’elenco “nell’ambito dell’Anagrafe unica […]”).
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In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza
regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9
cit. (“il carattere di stabilità dell’attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con
riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell’aggregazione e della centralizzazione della domanda”), come precisati nel
d.P.C.M. 11 novembre 2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.
13.5. – La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle
stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato sull’istituzione di “un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno
parte anche le centrali di committenza”, cui possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38.
Anche secondo quest’ultima disposizione, dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti
aggregatori che conseguano la qualificazione rilasciata dall’Autorità .
13.6. – Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10, del Codice
dei contratti pubblici, il quale prevede che “[f]ino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui
all’articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l’iscrizione all’anagrafe di cui all’articolo 33-ter del decreto-legge 18 ottobre
2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”. Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la
possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del “codice identificativo della gara (CIG)” necessario per l’effettuazione delle procedure di gara: art.
38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i
soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario – sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit. – anche l’inserimento
nell’elenco dei soggetti aggregatori).
13.7. – In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di
committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o
soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni
appaltanti.
14. – Per completezza di analisi, occorre altresì rilevare che l’Autorità , con deliberazione n. 32 del 30 aprile 2015, ha espressamente negato che
Asmel Consortile sia in possesso dei requisiti soggettivi e organizzativi necessari per l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori di cui all’art.
9 del decreto-legge n. 66 del 2014, e, conseguentemente, ha escluso il presupposto di legittimazione per espletare attività di intermediazione negli
acquisti pubblici.
Avverso detta deliberazione, Asmel ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, che lo ha respinto con sentenza 22 febbraio 2016,
n. 2339.
In sede di appello della sentenza, il Consiglio di Stato (con ordinanza di questa V Sezione, 3 gennaio 2019, n. 68), in via pregiudiziale, ha rimesso
alla Corte di Giustizia dell’U.E. alcuni quesiti (riferiti, per quanto concerne il diritto nazionale, all’art. 33 [Appalti pubblici e accordi quadro stipulati
da centrali di committenza], comma 3-bis, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, applicabile ratione temporis alla materia delle modalità con le quali i
comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori beni e servizi).
In particolare, la Sezione ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:
– “se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che limita l’autonomia dei comuni
nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra
comuni da costituire”;
– “se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito
degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con
l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire
figure di diritto privato quali, ad es, il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati”;
– infine, “se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza
nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai
consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente
considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza”.
La Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza Sez. II, 4 giugno 2020, in C-3/19, ha chiarito che il diritto euro-unitario, alla luce dei principi di principi
di libera prestazione dei servizi e di massima apertura alla concorrenza delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, non osta
“a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a
soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private”, né “a una disposizione di
diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali”.
Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della controversia in esame è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel Consortile mai
ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori o delle centrali di committenza.
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VATA
15. – Ciò posto, per ragioni logiche appare necessario esaminare a questo punto la questione di giurisdizione sollevata (in via subordinata)
dall’appellante, la quale sostiene che il mancato riconoscimento della qualifica di amministrazione aggiudicatrice in capo ad Asmel comporti il
venir meno della giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame.
15.1. – L’eccezione va respinta.
15.2. – Il punto oggetto dell’accertamento fin qui svolto non riguarda, infatti, la natura di amministrazione aggiudicatrice (o, in alternativa, di
soggetto di diritto privato) di Asmel Associazione, ma il solo difetto della sua qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e
conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni. Il che costituisce uno specifico vizio della procedura di gara avviata da Asmel
(attraverso Asmel Consortile), maturato in un ambito pubblicistico, trattandosi di una procedura di scelta del contraente posta in essere da
soggetto che, in astratto, potrebbe essere tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica, ma che, in relazione alla concreta vicenda in esame, ha
illegittimamente esercitato il potere.
In questa prospettiva, non sono pertinenti i plurimi richiami dell’appellante ai precedenti giurisprudenziali (anche di questa Sezione), che hanno
dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa dopo aver escluso in radice la natura di amministrazione aggiudicatrice (o di soggetto
equiparato all’amministrazione aggiudicatrice) del soggetto che aveva adottato i provvedimenti impugnati.
16. – Traendo le conclusioni dalle considerazioni fin qui svolte, diviene irrilevante stabilire se Asmel Associazione rientri nella definizione legale di
organismo di diritto pubblico (questione diffusamente trattata nella sentenza impugnata e nell’appello).
17. – Per ragioni analoghe, nemmeno ricorrono i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
(richiesto dall’appellante al fine di stabilire se Asmel debba essere qualificata come organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.
d), del Codice dei contratti pubblici e delle direttive europee in materia di appalti e concessioni).
18. – Con il terzo motivo, l’appellante critica la sentenza per aver accolto il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Anac, sull’illegittimità
del punto 3.2.5 del disciplinare di gara che – in asserito contrasto con l’art. 23 della Costituzione e l’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti
pubblici – imponeva di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, con cui i concorrenti si obbligavano a versare ad Asmel Associazione un
corrispettivo di Euro 80.000,00, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara.
Ad avviso dell’appellante, il corrispettivo si giustificherebbe per le attività svolte in veste di stazione appaltante e di centrale di committenza; e
troverebbe copertura legislativa nell’art. 16-bis del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica amministrazione, sono
poste a carico del contraente privato le spese contrattuali.
18.1. – Il motivo è infondato.
18.2. – Come ben rilevato dal giudice di prime cure, la clausola della lex specialis comporta la violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei
contratti pubblici (ai cui sensi: “[è ] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione
delle piattaforme di cui all’articolo 58”, inserito dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti
di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche
dell’eventuale aggiudicatario.
L’invocazione dell’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923 non merita di essere condivisa, posto che quest’ultima norma ha riguardo alle spese per la
stipula e la registrazione dei contratti, mentre l’art. 41, comma 2-bis, ha un oggetto diverso e specificamente riferito ai costi di gestione delle
piattaforme telematiche.
18.3. – Nemmeno può essere utilmente richiamata, sul punto, la recente pronuncia di questa V Sezione (19 maggio 2020, n. 3173), che ha rilevato
l’inammissibilità del motivo sollevato da un operatore economico che non ha partecipato alla procedura di gara, dal momento che l’obbligo
graverebbe esclusivamente sull’aggiudicatario. Nella controversia qui in esame non si pone una questione di difetto di interesse a ricorrere, posto
che – come già rilevato – l’interesse sotteso al ricorso in primo grado dell’Anac tende alla tutela della legalità nelle procedure di gara e, quindi, può
essere fatto valere anche prima della conclusione e dell’aggiudicazione della gara.
19. – L’annullamento del bando e degli altri atti di gara impugnati con il ricorso dell’Anac, per i vizi fin qui accertati, comporta anche
l’assorbimento del terzo motivo del ricorso introduttivo (essenzialmente incentrato sulla violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici, per
aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti economico-finanziari e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto del
contratto) e del quarto motivo (illegittimità del bando di gara per aver fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello minimo
stabilito dall’art. 60, comma 1, del Codice dei contratti pubblici), riproposti dall’appellata Anac ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del
processo amministrativo, posto che dall’eventuale accoglimento non conseguirebbe alcuna ulteriore utilità giuridica per la ricorrente.
20. – L’appello, in conclusione, va respinto.
21. – Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, in ragione della complessità delle questioni esaminate e decise.
P.Q.M.
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VATA
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Giorgio Manca – Consigliere, Estensore
GIURISPRUDENZA
Data udienza 9 luglio 2020
Massima redazionale
Appalti – Legittimazione a ricorrere attribuita all’ANAC – Natura
La legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac, che si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno
riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio, non può essere qualificata nemmeno come legittimazione straordinaria o
eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire o a ricorrere, ossia il collegamento
dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità) di un interesse tutelato dall’ordinamento sul piano sostanziale.
Collegamento soggettivo che si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non
hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore, ma sono più in generale orientati – per scelta legislativa e configurazione generale di
questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni – a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, anche indipendentemente da
iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale
come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso all’aggiudicazione, sicché esso – soprattutto nella fase della indizione della
gara – non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018). L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in
giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e
sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento. (Amb. Dir.)
GIURISPRUDENZA
Data udienza 9 luglio 2020
Massima redazionale
Appalti – Stazione appaltante, centrale di committenza e soggetto aggregatore – Differenza
Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», tra le diverse
modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori
qualificati. Peraltro, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo
iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni,
dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori. L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 ed è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui
all’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 […]». Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza
siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori
dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»). In secondo luogo, la
distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto)
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che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di
stabilità dell’attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad
ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell’aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11
novembre 2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac. La soluzione trova conferma anche
nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in
vigore, basato sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui
possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione,
dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione
rilasciata dall’Autorità. Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216,
comma 10, del Codice dei contratti pubblici: gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il
rilascio del «codice identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara si producono, infatti, solo per le stazioni
appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è
necessario – sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit. – anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori). (Amb. Dir.)
Written by : Cobuild
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